Editoriale

La storia delle acque termali di Castrocaro

La storia delle acque termali di Castrocaro

La storia delle acque termali di Castrocaro: il piacere, la cura, il benessere del corpo e dello spirito

Ulisse Tramonti - Architetto e professore ordinario di Progettazione Architettonica, Università di Firenze

La storia termale di Castrocaro prese avvio alla fine del 1830 in occasione di una procedura per contravvenzione di trasporto illecito di acqua salata, trafugata da una sorgente della rupe de Cozzi dal colono Antonio Samorì. L’acqua contenente cloruro, ioduro e bromuro di sodio giunse alla fama grazie alla guarigione di Adolfo Targioni Tozzetti, “giovane di alte speranze” nipote del più famoso Antonio, magistrato Auditore del Circondario di Rocca San Casciano e, nel 1841, alla “guarigione miracolosa” della marchesa Caterina Martelli, gran dama della corte granducale fiorentina.

Nel 1851 il conte Antonio Marescotti apriva a palazzo Guarini, con l’aiuto del notabile Carlo Frassineti, lo “Stabilimento Balneario delle Sorelle Liverini”, con appositi stanzini per bagni con tinozze di marmo e fornito di tutti i necessari conforti per i bagnanti. Anche a Castrocaro nella seconda metà del XIX secolo, come nel resto dell’Europa centrale, si assistette alla cosiddetta “guerra dei pozzi”, una spietata concorrenza tra i proprietari delle varie sorgenti, fra cui occupò un posto considerevole il trentenne Aristide Conti, che nel 1871 aprì nella propria abitazione un primo e piccolo Stabilimento, ampliato e confortato nel 1874 con bagnarole di levigato travertino, docce verticali e orizzontali, sale per il divertimento e la lettura con annesso caffè e ristorante. Nel 1887 con l’acquisto del podere denominato “il Ponte”, Conti dette vita ad un nuovo Stabilimento e alla piantumazione di quello che diventerà in seguito uno dei più famosi parchi termali italiani. Il duraturo successo dell’impresa fu decretato da una selezionata clientela che amava, oltre all’efficacia delle acque, la famosa “quiete virgiliana” di un parco che si andava strutturando come connettivo fondamentale per la vita degli stessi bagnanti: le passeggiate regolavano i tempi delle cure idropiniche, gli angoli ombrosi ristoravano i bagnanti in una sorta di terapia della tranquillità.

La costante ricerca di nuove scaturigini portò, nel 1924, alla scoperta all’interno del parco di una sorgente di acqua sulfurea salsoiodica e, a protezione della stessa, la costruzione di un tempietto realizzato dalla faentina “Premiata fabbrica di ceramiche d’arte Focaccia e Melandri”, ispirato al modello greco arcaico distilo “in antis”, con colonne in graniglia sormontate da capitelli compositi in maiolica. All’interno, un magnifico dossale di ceramica invetriata riveste una sorta di arcosolio da cui fuoriesce l’acqua benefica e dove si mescolano, con raffinata eleganza, tutti i toni ceramici del blu, del verde e dell’oro. Per la valorizzazione del tempietto, detto “pompeiano”, si imposero sistemazioni scenografiche come la grande scalinata di raccordo tra le due terrazze, purtroppo demolita, e una serie di statue, tavoli e panchine disegnate da Giuseppe Casalini.

Nel 1936 le difficoltà economiche degli eredi Conti furono il pretesto per inserire le Terme di Castrocaro fra le aziende patrimoniali dello Stato. Si realizzava così un antico sogno accarezzato fino dal 1925 dalla famiglia Mussolini, specialmente da Arnaldo, che amava Castrocaro per le sue acque ma anche per la sua centralità rispetto ai luoghi che alimentavano il mito delle origini del più celebre fratello. Nel 1937 l’entusiasmo per la conquista delle colonie e la proclamazione dell’Impero toccò anche il piano delle grandi infrastrutture, sublimato in Romagna dal progetto dell‘autostrada Forlì-Mare, poi non realizzata, che doveva portare i numerosi turisti stranieri presenti sulla riviera romagnola a frequentare i centri artistici e termali dell’entroterra forlivese, come Bertinoro, la Rocca delle Caminate, le Terme di Castrocaro e le Fonti Romane della Fratta.

Il Padiglione delle Feste fu il primo a essere realizzato “per volontà superiore”, come volano dello sviluppo della stazione termale, su progetto dell’ingegnere Diego Corsani dell’Ufficio Tecnico Centrale del Demanio e reinventato artisticamente con un felicissimo gusto decorativo Déco dalla grazia e dalla forza espressiva di Tito Chini, direttore delle Fornaci Chini di Borgo San Lorenzo, vero ideatore dell’immagine dell’intero complesso. Il Padiglione fu concepito come uno spazio da vivere in un’esplosione di luce e di colore, caratterizzato da continue e simmetriche trasparenze che ancora permettono al rigoglioso tessuto verde del parco di essere soggetto attivo al suo interno. I semplici e stereometrici volumi sono valorizzati dall’uso sapiente dei materiali; il cotto, il marmo nero, il travertino e la ceramica iridescente che, con forte senso decorativo, avvolge l’edificio con il motivo dell’onda stilizzata. Una tessitura che vede prevalere i colori decisi come il blu, il rosso, il verde e l’ocra, associati ai famosi lustri metallici delle Fornaci borghigiane, che alternano i ricorrenti motivi apotropaici del delfino e della cornucopia in infinite variazioni di toni.

All’esterno, ai lati dell’ingresso inquadrate all’interno di due nicchie, si ergono due fontane in marmo verde “a torsolo”, coronate da cinque elementi in dimensione scalare che hanno la tipica forma egizia del capitello a fiore di papiro. L’esplosione di luce dell’ingresso esalta il motivo del cerchio, che si perpetua fino al disegno del soffitto. Il grande pannello circolare del pavimento, dove i colori si fanno densi e decisi, è diviso in quattro parti da una grande rosa dei venti; ogni settore porta un maestoso galeone a vele spiegate contornato da uno stellato cielo turchino. Ai lati dell’ingresso del Salone delle Feste, due piccoli e simmetrici disimpegni conservano la preziosità di due scrigni racchiusi da pareti dorate iridescenti e portano, verticalmente alternati, i motivi del fiore, della colomba, del delfino e della miracolosa cornucopia.

Il grande Salone è illuminato da lucernari decorati e da luci con plafoniere di cristallo fornite dalla ditta Venini di Murano, realizzatrice anche dei grandi lampadari in cristallo a cappello cardinalizio rovesciato e delle appliques a conchiglia con opalescenze madreperlacee, sottolineate da sinuose e vitree onde turchine. Nella galleria posta al primo piano si aprono dieci palchi, ornati da altrettanti pannelli laccati di vernice argentea, che compongono un tema decorativo ispirato al ciclo delle stagioni. La Sala da Gioco che chiude la sequenza degli ambienti di svago e di riposo è arricchita, per la superficie di tre intere pareti, da pannelli che esaltano con varianti decorative le carte da gioco. Dai corridoi laterali si aprono sul Salone grandi porte di colore turchese, sulle quali sono delineati in colore argento i motivi decorativi apotropaici del rametto di melograno e delle cornucopie, dalle quali scende un’acqua filamentosa a raggiungere con i riccioli della ricaduta d’onda guizzanti delfini.

Il Padiglione fu inaugurato incompleto nel settembre del 1938 dal principe Umberto di Savoia. Il primo giugno del 1938 apriva il Nuovo Stabilimento Termale, innestato sulla preesistente struttura dei Bagni, su progetto dell’Ufficio Tecnico Erariale di Forlì sotto la guida dell’ingegnere Rosario Pappalardo, ma ancora una volta con l’apporto architettonico e decorativo di Tito Chini. Dieci grandi metope in cotto con inserti di smalto blu, cinque per lato, portano i temi dell’anfora dispensatrice di acqua benefica, della conchiglia e dell’acquario e sottolineano l’armonica spazialità del monumentale pronao che, attraverso tre vaste aperture, immette nell’imponente atrio dello Stabilimento pensato come uno straordinario ambiente di sosta a doppio volume e controllato da Chini nei minimi dettagli.

Fu Benito Mussolini, dopo una visita nel giugno del 1939 alle parti realizzate del nuovo Compendio Termale, a decidere il raddoppio dell’estensione del parco e la trasformazione della vecchia Pensione delle Terme in un lussuoso Grand Hotel. Il progetto fu affidato all’ingegnere Pappalardo, con la supervisione di Chini, che dal novembre del 1939 portava la qualifica di “Consulente artistico dell’Ufficio Tecnico Erariale di Forlì” e che operò consistenti variazioni compositive, come l’innalzamento di un piano della parte centrale dell’edificio, la creazione della terrazza loggia verso il parco, la torre dell’acqua, il disegno di una nuova testata d’angolo con ingresso all’incrocio della via Nazionale con la via Conti. All’interruzione dei lavori nel 1943, l’edificio aveva definito solo l’involucro esterno, gli ambienti del piano terra necessari al Regime, poche le camere funzionanti, ed ebbe il suo completamento solo nel dopoguerra.