“L’esperienza non consiste tanto in ciò che si fa, ma in cosa ne facciamo di quello che si fa”.
(Aldous Huxley, The Doors of Perception, 1954)
Nella società moderna viene dato sempre meno spazio al gioco libero all’aria aperta, alle attività motorie e a tutti i diversi campi d’esperienza a diretto contatto con la natura. Con il progresso della tecnologia sono in continuo accrescimento invece, i giochi virtuali, statici ed individuali, con dinamiche precostituite che poco spazio lasciano alla fantasia del bambino ed alla sua possibilità di esprimersi anche con il corpo oltre che con la mente. In aumento è anche il numero di adulti ansiosi e iperprotettivi, incapaci di accettare la presenza di un rischio nelle attività del proprio bambino. Tutto questo ricade sul bambino, sulla sua educazione, sul suo approccio relazionale alla realtà, sul suo sviluppo psichico e motorio ed in maniera importante anche sulla sua salute.
La tecnologia sta invadendo il mondo dell’infanzia segregandola in ambienti chiusi, comodi, sempre più virtuali, dove la finzione si sostituisce alla realtà in modo effimero e non creativo. Da qui emerge il bisogno relativo al movimento all’aria aperta, alle esperienze outdoor, al contatto fisico-sensoriale con la natura, alla stimolazione dei sensi e alla creatività, che possano compensare la realtà virtuale.
L’Outdoor Education si propone come una delle vie percorribili per dare qualità al processo educativo, attraverso la ricchezza degli stimoli che gli ambienti esterni possono garantire, alla loro grande adattabilità, flessibilità e agli infiniti collegamenti che offrono sul piano interdisciplinare.
La pedagogia dell’Outdoor Education
Il principio fondamentale che distingue l’OE è la possibilità esplorativa e osservativa che il bambino può sviluppare entrando a diretto contatto con l’ambiente esterno, luoghi reali dove vive la sua quotidianità. Tale filosofia educativa segue l’idea pedagogica dell’apprendere facendo (learning by doing) proposta da John Dewey (1997), ma potenziata da un altro elemento: l’attenzione al luogo in cui si opera, nella fattispecie (per noi) quello esterno – il che porta a porre un’ulteriore domanda precisa: Perché dentro? Why indoor? (Higgins, 1997). Questa pedagogia, secondo Dewey, deve mirare al metodo e abbandonare le nozioni fini a se stesse: ciò che realmente conta è la ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. L’indagine tramite l’esperienza diretta è la sintesi di questo nuovo metodo. Il principio fondamentale è quindi che si apprende facendo e che il bambino è il protagonista attivo del processo educativo, e non un ricevente passivo dell’azione dell’adulto.
Learning by doing- Imparo perché faccio
Learning by doing è stata l’insegna dell’attivismo pedagogico ed è sostanzialmente l’insegna della didattica più aggiornata. Innanzitutto, non si apprende attraverso il mero fare, la semplice attività non accompagnata dal pensiero e dalla riflessione. Attraverso le semplici azioni si memorizzano azioni meccaniche. Ma per comprendere deve intervenire la riflessione e il pensiero.
“Le azioni debbono essere interiorizzate, eseguite mentalmente. Occorre riflettere, pensare, acquisire consapevolezza delle azioni. All’azione si deve accompagnare il pensiero: quindi learning by doing, ma anche learning by thinking. Operare pensando, riflettendo, discutendo con se stessi e con gli altri (cooperative learning). Forse questo viene sottointeso, quando si afferma il principio del learning by doing, ma è opportuno esplicitarlo, per evitare equivoci, come avviene quando si parla di ricerchismo ovvero di una ricerca fondata sul mero operare, agire, fare. Oggi si insiste molto, ed opportunamente, sulla metacognizione: non basta agire, manipolare, operare, fare; è necessario riflettere, pensare. E, tuttavia, fare e pensare non si può, senza essere motivati. Non v’è azione, ma soprattutto non v’è pensiero, senza motivazioni, interessi, passioni. Oggi si parla di intelligenza affettiva. L’intelligenza, il pensiero, la stessa azione sono sempre sostenute dall’affettività: learning by loving!”
L’Outdoor education come strumento educativo per i bambini
I bambini prendono coscienza del proprio corpo, utilizzandolo fin dalla nascita come strumento di conoscenza di sé nel mondo. Muoversi è il primo fattore di apprendimento: scoprire, correre, saltare, cercare fa vivere sensazioni piacevoli e soddisfacenti nel controllo dei gesti, nel coordinamento dei movimenti; consente di sperimentare potenzialità e limiti della propria fisicità, sviluppando, allo stesso tempo, la consapevolezza dei rischi di movimenti incontrollati.
L’approccio educativo della pedagogia dell’OE riconosce l’ambiente esterno come luogo privilegiato per lo sviluppo psicofisico dell’individuo nell’età evolutiva. Le attività esperienziali basate sulla creatività e multisensorialità sono momenti preziosi per la maturazione delle capacità di autoregolazione. Il contatto con la natura è, quindi, fonte primaria di esperienze sensoriali e percettive, oltre che di stimolazione della curiosità, della creatività, favorendo l’interazione con i pari e gli adulti attraverso lo svolgimento di giochi e attività di gruppo. Il contatto diretto con la natura aiuta a promuovere la percezione della realtà attraverso tutti i sensi, ampliando la gamma dell’esperienza al di là delle modalità visive e uditive oggi predominanti; contrasta il dualismo mente-corpo, restituendo l’intensa unitarietà di ogni esperienza; consente di sfruttare il sentimento dell’empatia nei confronti del mondo vivente, che è innato nell’essere umano e ancora intatto nel bambino.
Ritengo l’Outdoor Education una delle vie percorribili per dare qualità al processo educativo, uno stile di insegnamento unico, che, attraverso la ricchezza degli stimoli che gli ambienti esterni possono garantire, fornisce numerosi vantaggi sul piano interdisciplinare e la crescita psicofisica dell’individuo.
Dott.ssa Federica Cuni